Si scrive "multiplo", si legge "copia"?

Francesco Zavattaro Ardizzi

Uno degli aspetti più peculiari della scultura, è la possibilità materiale di farne calchi e copie.

Il calco di una scultura veniva un tempo eseguito unicamente prendendo l'impronta della scultura con del gesso. Ovviamente non veniva realizzato un pezzo unico, ma il calco in gesso veniva eseguito per conci, in maniera tale da poterlo smontare dal modello e rimontare per l'esecuzione della copia.
L'esigenza di realizzare dei calchi nasceva tecnicamente dal fatto di non poter salvare il modellato in creta (cuocendolo) per ragioni dimensionali o perché se ne intendeva ricavare un "modello" in materiale stabile e non deperibile (tipicamente in gesso) dal quale poterne ricavare la versione "finale" in materiale più pregiato e durevole (bronzo o marmo).

Con l'inizio dell'era "moderna", la produzione delle copie divenne non più un'esigenza tecnica, ma una questione commerciale. Con l'avvento dell'era industriale, l'ascesa di una committenza borghese e lo sviluppo delle economie del Nord America il mercato cominciò a richiedere una sempre maggior quantità di opere agli scultori più affermati. La produzione di copie in serie numerata prese avvio con metodo proprio con scultori come Auguste Rodin, chiamati a fornire le proprie opere per collezionisti di ogni parte del mondo occidentale. Basti pensare che del celebre "Pensatore" esistono 20 esemplari sparsi tra i musei di tutto il mondo.

Da qualche decennio a questa parte lo sviluppo delle gomme siliconiche ha incredibilmente agevolato la riproduzione delle sculture. Non sono più necessari complicati stampi ad incastro in gesso, e la fedeltà di riproduzione garantita dai siliconi è impressionante (consentono di recuperare l'impronta digitale lasciata dai polpastrelli sulla creta). Questo ha per un verso semplificato il lavoro degli artisti e degli artigiani che lavorano per gli artisti (fonderie e laboratori di lavorazione del marmo), riducendo enormemente le tempistiche di produzione di un calco. Per l'altro, ha esposto la scultura ad un nuovo fenomeno, pericoloso sul piano della garanzia dell'originalità dell'opera.
Chiunque possieda una scultura, oggi ne potrebbe agevolmente eseguire una copia, specie se di ridotte dimensioni.
In passato questo aspetto ha causato non pochi problemi di attribuzione di opere di autori ormai scomparsi, non più in grado di smascherare il falso, e speculazioni fraudolente.
In soccorso dei collezionisti e degli artisti il legislatore ha introdotto il "certificato di autenticità" (in Italia normato dal D.L. n.42/2004) elemento divenuto imprescindibile in qualunque trattativa commerciale che abbia per oggetto opere d'arte.
In questo certificato, lo scultore si attribuisce la paternità dell'opera, e ne dichiara la tiratura.
Nel caso di autori ormai deceduti, sono spesso le "fondazioni" curate dagli eredi a rilasciare i certificati di autenticità. Anche questo fenomeno però si presta a possibili abusi, dal momento che il certificato di autenticità "postumo" è rilasciato dietro corrispettivo di una somma di denaro.

Tipicamente la tiratura si compone di alcune "prove d'artista" (sigla PA od AP) numerate con numeri romani progressivi (es. AP II), e di una serie limitata di esemplari "ufficiali" numerati in serie (es. 1/3 per il primo esemplare di una serie programmata di 3 fusioni).
Non necessariamente la tiratura deve essere tutta eseguita dal principio; l'importante è che la numerazione e la sequenzialità sia rispettata. L'autore è responsabile verso l'acquirente della veridicità della dichiarazione, anche in termini legali.
Le serie numerate per tradizione si contano in multipli di tre (3/6/9). In Italia, fino a 9 esemplari l'opera può essere definita "pezzo unico" (il che obiettivamente genera una confusione di termini), sopra questo numero si parla di "multipli". In entrambi i casi le opere devono riportare la firma dell'autore.
Naturalmente la quantità di esemplari "tirati" incide anche sull'appetibilità dell'opera sul mercato, e sul suo valore.
Questo è particolarmente evidente nel caso dei "multipli", soprattutto quando riprodotti in grande numero (a volte centinaia o migliaia di pezzi).
Il mercato dei "multipli" ha raggiunto in questi ultimi anni dimensioni incredibili. Il famoso "balloon dog" di Jeff Koons è stato riprodotto, oltre che in edizione limitata di tre pezzi (di dimensioni monumentali, in lega metallica), anche in edizione “multipla" (in scala ridotta, in ceramica). Il "multiplo" è stato tirato in serie di 2.300 esemplari, al prezzo di vendita compreso tra i 2.000 $ ed i 5.000 $. Certamente più "affordable" dell'esemplare monumentale quotato tra i 35 ed i 55 milioni di dollari, ma tutto sommato ancora molto, se si pensa alla sua estrema diffusione.

Foto: “Balloon dog”, Jeff Koons. Versione “orange” dell’edizione limitata in scala monumentale.


Quello dei "supermultipli" è un mercato relativamente recente, che si avvicina più all'oggettistica di design che non all'arte. Oggi diversi musei vendono nei bookshop dei multipli delle opere esposte (per lo più ristampe di foto o serigrafie). Di per sé non vi è nulla di esecrabile. L'importante, quando si compra un'opera d'arte, è saper leggere bene tra le righe del "certificato di autenticità", per evitare di sopravvalutarne il valore.

Foto: “Balloon dog”, Jeff Koons. Multiplo della serie di 2300 pezzi in scala ridotta, in ceramica.

Foto: “Balloon dog”, Jeff Koons. Multiplo della serie di 2300 pezzi in scala ridotta, in ceramica. Dettaglio dell'adesivo riportante il numero di serie


Un discorso a parte va fatto per le vere e proprie "copie", ossia le tirature dell'opera eseguite da terzi, seppur legalmente (ad esempio da parte degli eredi dell'artista).
Questi esemplari devono riportare ben impressa la dizione "COPIA" oltre alla eventuale numerazione, e non dovrebbero riportare la riproduzione della firma dell'artista.
E' in effetti buona norma non firmare il modellato in creta per evitare di riprodurre nel calco anche la firma, ma di apporla direttamente sull'esemplare in cera in fonderia.

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