Artisti e partita IVA

Questo post è un po’ anomalo, per contenuto, se confrontato con i precedenti. Non tratterò infatti di produzione scultorea o di capolavori della storia dell’arte, ma dell’inquadramento fiscale dell’attività artistica professionale.

Il punto è il seguente: 
- sei un artista?
- guadagni dalla vendita delle tue opere?
- sostieni dei costi per realizzare le tue opere?
Allora dovresti interrogarti se non sia necessario/utile aprire una partita IVA.

Potrebbe essere necessario, se hai deciso di “spingere sul mercato” la tua professionalità artistica, dando visibilità al tuo sito internet, facendo campagne pubblicitarie o promuovendo l’acquisto delle tue opere sul tuo sito. Diventa necessario anche se la vendita diventa non più solo occasionale, ma in qualche modo una fonte di reddito ricorrente. Non è un parametro significativo quanto guadagni da questa attività; per lo Stato, quel che conta è se diventa una fonte di reddito ordinaria, anche se variabile e non prevedibile.
 
Ma aprire una partita IVA potrebbe anche essere utile, se – come nel caso dell’arte scultorea – sostieni rilevanti spese con i fornitori (marmo, fonderia, etc..).

Partiamo dal principio

Le attività artistiche “visive” (disegno, pittura, scultura, fotografia, etc…) sono inquadrate fiscalmente con codice ATECO 900309 “Altre creazioni artistiche e letterarie”, che recita, al primo punto: “attività di artisti individuali quali scultori, pittori, cartonisti, incisori, acquafortisti, aerografista eccetera”.
La ratio è semplice: se percepisci un reddito da un’attività, devi contribuire con le tasse alle spese dello Stato, e mettere da parte qualcosa per la previdenza sociale (in primis, la pensione).
Ok, ho semplificato, ma la sostanza è questa.
 
Tuttavia, nell’aprire la partita IVA “da artista”, con l’attuale ordinamento, si pone subito un bivio: apro una partita IVA con regime fiscale “forfettario”, o “semplificato”?
 
Anche se non è il mio campo (per formazione, sono ingegnere), proverò a riassumere in termini semplici la questione.
 
Per farla breve, “forfettario” implica una tassazione fissa, con un’aliquota molto agevolata (15% al di sotto di 65mila euro di reddito percepito annuo). Il regime “forfettario” nasce proprio col proposito di incentivare l’avvio di nuove attività.
Non è richiesta l’applicazione dell’IVA, il che consente una gestione più semplice sul piano fiscale, e permette all’artista di esporre sul mercato prezzi più competitivi rispetto agli artisti con partita IVA “semplificata”.
Per contro, il regime “forfettario” non consente di dedurre i costi sostenuti per produrre il bene artistico dal reddito percepito. I costi sono infatti stabiliti in misura forfettaria in funzione del codice ATECO (attualmente, il 33% di quanto percepito come reddito).
 
Invece, nel regime “semplificato”, l’aliquota fiscale è sempre superiore al 15%. Il valore viene determinato per scaglioni di reddito, ed attualmente parte dal 23% (fino a 15mila euro), fino al 43% (oltre i 75mila euro). Se manteniamo come paragone i 65mila euro di riferimento del forfettario, l’aliquota media vale il 32,8%. È evidente quindi che di tasse “si paga di più” con il “semplificato”. Inoltre, con il regime “semplificato” occorre anche applicare l’IVA, il che rende meno competitivo il prezzo al cliente (o, visto al contrario, riduce l’utile a parità di prezzo esposto al cliente).

Oltre a questo, in entrambi i casi vanno messi in conto i costi della previdenza sociale (gestione separata Inps), attualmente fissata al 25,98% (24% se si è già provvisti di altra tutela pensionistica obbligatoria).

Ma allora conviene sempre il “forfettario”?
Se puoi, in genere, sì. Ma, con l’attuale normativa, non puoi accedere al regime “forfettario” se percepisci altri redditi da lavoro dipendente sopra i 30mila euro annui. Questo limite impedisce quindi l’accesso a questo regime “incentivante” a chi si avvicina alla produzione artistica già in età adulta, e magari ha già uno stipendio “maturo”. Di per sé sarebbe anche logico, visto che il “forfettario” nasce per incentivare nuove attività; però bisognerebbe quantomeno pareggiare i due limiti (65 mila di reddito forfettario sono più del doppio di 30mila di reddito dipendente).

Però, a ben vedere, ci sono alcuni vantaggi, per chi, come me, si dedica alla produzione scultorea.
Il regime IVA “semplificato” consente infatti di dedurre dal reddito percepito i costi sostenuti per l’attività, e nel caso delle sculture possono anche essere rilevanti: costi di fonderia, costi di acquisto di prodotti siliconici, attrezzature, marmi etc…
In altri termini, se i costi sono rilevanti, alla fine la pur maggiore aliquota fiscale si applica su un valore che può anche essere molto ridotto, soprattutto se si è in una fase di avvio dell’attività, e si rendono necessari degli acquisti rilevanti di attrezzature (forno, tornio, utensili…).
 
Inoltre, nel caso del regime “semplificato”, l’IVA può essere “compensata”: in altri termini, l'IVA non è un costo.
Quindi l’IVA pagata in fase di acquisto di un prodotto (esempio, una tela per realizzare un dipinto), può essere portata in detrazione dall’IVA che si è percepita dalla vendita di un’opera ad un cliente (ad esempio, per la vendita del dipinto). Allo Stato si verserà la differenza tra le due.

Un aspetto positivo, non sempre noto, è che l’artista che produce e vende personalmente le proprie opere d’arte, se sussistono certi requisiti, può applicare l’IVA nella misura ridotta del 10% (anziché il 22% ordinario). Il che può comportare, peraltro, una riduzione dell’IVA da portare a compensazione fino ad arrivare ad una situazione di "credito IVA".

Iva ridotta al 10% per le opere d'arte

Mi soffermo sull’IVA al 10% perché è un tema poco conosciuto, e credo interessante.
Il riferimento normativo è un po’ articolato, ma è il seguente:
 
DPR 663/72 (Testo Unico IVA) - tabella A (Beni e servizi soggetti ad aliquota ridotta) - parte III (Beni e servizi soggetti all’aliquota del 10 per cento) - capo 127_SeptiesDecies:
 
127-septiesdecies) oggetti d’arte, di antiquariato, da collezione, importati; oggetti d’arte di cui alla lettera a) della tabella allegata al decreto-legge 23 febbraio 1995, n. 41, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 1995, n. 85, ceduti dagli autori, dai loro eredi o legatari (numero aggiunto, con effetto 1° ottobre 1997 [15], dall’art. 1, comma 6, lettera b), n. 17), D.L. 29 settembre 1997, n. 328)
 
Andiamo dunque a vedere cosa prevede la lettera a) della tabella citata… (omissis tra parentesi quadre)
 
a) "Oggetti d'arte": 
- quadri "collages" e quadretti simili ("tableautins"), pitture e disegnieseguiti interamente a mano dall'artista […]; 
incisioni, stampe e litografie originali, precisamente gli esemplari ottenuti in numero limitato direttamente in nero o a colori da una o più matrici interamente lavorate a mano dall'artista, qualunque sia la tecnica o la materia usata, escluso qualsiasi procedimento meccanico e fotomeccanico […];
- opere originali dell'arte statuaria o dell'arte scultoria, di qualsiasi materia, purché' siano eseguite interamente dall'artista; fusioni di sculture a tiratura limitata   ad   otto   esemplari, controllata dall'artista […] 
arazzi e tappeti murali eseguiti a mano da disegni originali forniti da artisti, a condizione che non ne esistano più di otto esemplari;
- esemplari unici di ceramicainteramente eseguiti dall'artista e firmati dal medesimo
- smalti su rame, interamente eseguiti a mano, nei limiti di otto esemplari numerati e recanti la firma dell'artista […]; 
fotografie eseguite dell'artista, tirate da lui stesso o sotto il suo controllo, firmate e numerate nei limiti di trenta esemplari, di qualsiasi formato e supporto; 
 
Insomma, il requisito per godere dell’IVA agevolata al 10% è che l'opera venga venduta direttamente dall'artista, che sia stata completamente realizzata “a mano”, e che sia unica oppure in tiratura limitata (limite variabile, caso per caso). Se sussistono questi requisiti, si può applicare l’IVA nella misura ridotta del 10%.
 
Recentemente si è posto un tema per il caso delle repliche in serie di sculture realizzate con tecnica 3D. Un artista che realizzava opere in serie (da 50 a 200 pezzi), tramite modellazione digitale e stampa 3D, ha infatti posto un quesito all’Agenzia delle Entrate per sapere se questa casistica poteva godere dell’IVA al 10%. La risposta è stata negativa, per due fattori: non erano eseguite “totalmente a mano” dall’artista (modellazione digitale, stampa 3D), ma solamente rifinite a mano (stuccature e levigature finali, applicazione di colorazione); inoltre non erano in tiratura limitata (quantomeno, non ad otto esemplari come nel caso della fonderia). Per i dettagli basta cercare su internet la Risposta a interpello n 303 del 2 settembre 2020 dell’Agenzia delle Entrate.
 
Quindi al momento la digital-art non può godere dell’IVA ridotta al 10%. Personalmente trovo ineccepibile il secondo punto: se la serie non è limitata a pochi esemplari, diventa un prodotto di design e quindi deve arrivare sul mercato alle stesse condizioni fiscali.
Trovo invece “fuori dal tempo” il vincolo del “fatto a mano 100%” come elemento dirimente, visto che la tecnologia avanza. E del resto, una fonderia per fare un bronzo è indispensabile, ed infatti la norma ha previsto che anche in quel caso si possa ricorrere all’IVA agevolata, pur con la limitazione di otto esemplari.

Per concludere, queste le deduzioni che personalmente ne ho tratto, per le attività che personalmente pratico:

  • disegni e dipinti: sono per natura realizzarti in esemplare unico ed originale, quindi IVA 10%
  • sculture: se in esemplare originale, o se tiratura limitata a max 8 esemplari, IVA 10% (altrimenti 22%)
  • ceramiche: se in esemplare unico (realizzato e decorato dall’artista), IVA 10% (altrimenti 22%)


Un’ultima cosa… Lo sapevate che l’acquisto di opere d’arte, per un professionista, rientra tra le “spese di rappresentanza” deducibili ai fini IRPEF?
Interessante, vero?

Ma mi sono già dilungato troppo... Su di questo, faccio un post a parte ;-)

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